JAPAN GALAXY: RASHOMON - Un giallo alla giapponese


Ho deciso di fare una cosa diversa: approfittando della mia passione per la cultura giapponese, ho guardato "Rashōmon", leggendario film di Akira Kurosawa. Ho detto "cosa diversa" perché questo film è di molti anni fa ed è in bianco e nero. Finora ho visto davvero pochi film non a colori per abitudine; le poche pellicole in bianco e nero che ho visto finora, non so perché, ma mi hanno sempre dato un forte senso di inquietudine. Forse c'entrerà il fatto che uno di questi è stato "Psycho" di Alfred Hitchcock.
Comunque ho deciso di andare oltre questa piccola ansia dei film in bianco e nero e, grazie al solito mercatino dell'usato, ho preso "Rashōmon". Le persone non scherzano, quando dicono che ai mercatini trovi di tutto! Bisognerebbe dedicare loro una poesia.
"Sempre caro mi fu, questo mercatino...".

Inutile dire che anche quest'opera mi ha trasmesso inquietudine. Ma per molti fattori. Però è decisamente uno dei migliori film mai fatti, come dicono molti critici.

Trama: Un taglialegna e un prete si rifugiano da un momento di forte pioggia. A loro si unisce un cittadino, a cui raccontano di essere stati testimoni di una storia terribile: un samurai è stato ucciso pochi giorni prima e del misfatto è stato accusato Tajōmaru, un delinquente. Nel processo dedicato al crimine, si susseguiranno una serie di testimonianze totalmente discordanti tra esse...

Diretto dal maestro Akira Kurosawa (autore di altri classici come "I Sette Samurai") e uscito nel 1950, "Rashōmon" unisce vari elementi di due racconti brevi di Ryūnosuke Akutagawa: da "Rashōmon" vengono presi il titolo del film è l'ambientazione, mentre la trama e i personaggi provengono da "Nel Boschetto" (in giapponese "Yabu no Naka"). La fedeltà a quest'ultimo è sconcertante: avendo letto la storia per studio, ho riconosciuto non solo la storia, ma anche alcune battute.

Il cast consiste in pochi attori e solo due di essi hanno un ruolo centrale. Oltre al taglialegna e al prete, che raccontano parte della storia, la vittima del crimine, una medium e il cittadino che ascolta i due narratori, la scene appartiene principalmente a Tajōmaru, interpretato da Toshiro Mifune (fedele collaboratore di Kurosawa), e a Masako, la moglie della vittima, interpretata da Machiko Kyō.
I personaggi sono caratterizzati davvero bene, anche quelli più secondari sono pieni di sfaccettature. Masako è tutt'altro che una donzella in pericolo, piena di sfumature anche inquietanti. Ma a rubare la scena è Toshiro Mifune: il suo Tajōmaru, per quanto sia spregevole, ha carisma da vendere e sa anche divertire; plauso speciale alla bravura di Mifune, che è in grado di usare una grande varietà di espressioni, siano serie, comiche o letteralmente bestiali. Un attore in grado di divertire e spaventare allo stesso tempo merita solo rispetto.
Di questo film ho apprezzato molto la recitazione naturale ma anche piena di movimenti teatrali alla giapponese. Sono tutt'altro che esperto in materia, ma rimango sempre colpito dallo stile giapponese.

La trama è un normale racconto giallo: una persona viene uccisa e si cerca di risalire alla dinamiche dell'accaduto attraverso le testimonianze di chi era nel luogo del delitto. L'elemento che dà pepe alla vicenda è l'assoluta diversità tra le varie narrazioni dei testimoni: chi dice la verità e chi mente? Solo il finale (inedito, tra l'altro, non è presente nel racconto originale) potrà dare una risposta, anche se non definitiva.
Il film infatti non vuole dare al pubblico una verità assoluta, ma piuttosto mostrarci che un unico fatto può essere raccontato in diversi modi soggettivi: a seconda di chi parla, infatti, viene messa enfasi su un particolare piuttosto che un altro e anche le azioni di vittime e colpevole vengono descritte in maniera diversa. In questo modo è difficile arrivare a una soluzione del caso e la cosa mi piace.

La sceneggiatura rispecchia il modo di parlare dell'epoca in cui è ambientata la storia, quindi troviamo termini e modi di parlare molto inusuali, rispetto al nostro standard. Quando non ci sono dialoghi, le espressioni compensano il tutto.

L'ambientazione è molto naturale: la maggior parte delle scene si svolgono all'interno di un bosco (bosco vero situato a Nara, poiché il budget del film era molto limitato), molto bello ma anche dai tratti labirintici, riesce a essere inquietante. Importante anche l'uso di luce e ombra (molto evidente anche se la pellicola è in bianco e nero), che svolgono una funzione simbolica, così come il sole e la pioggia.
La colonna sonora è potente e suggestiva, nonostante sia semplice.

Nonostante le basse aspettative della casa di produzione, col tempo il film ha ottenuto un grande successo, tanto da far conoscere il cinema giapponese, Kurosawa e Toshiro Mifune a livelli internazionali. Il film inoltre vinse il Leone d'Oro al Miglior Film, al festival di Venezia, e l'Oscar come Migliore Film Straniero.

"Rashōmon" è una lezione di cinema. Ogni singola cosa funziona alla perfezione. Inoltre gli elementi simbolici lo rendono un'opera lontana dall'essere banale.

RedNerd Andrea

Personaggio preferito: Tajōmaru. Ci sono stati momenti in cui lo adoravo e altri in cui avevo paura di lui. Gran bel personaggio.

Commenti

  1. Il regista necessita di una visita contro il daltonismo. Fai un giallo in bianco e nero? E perché non fare un bel film rosa con il filtro seppia già che ci siamo?

    Ambientazione boschiva, un morto ma non si sa come, tante versioni... Mancano solo 3 farine rincoglionite ed è la bella addormentata nel bosco.
    -Fiabesco!

    La storia la facciamo raccontare a un boscaiolo e a un prete. Il secondo dà l'estrema unzione ai pini, mentre il primo li accoppa.
    -Geniale!

    Il cattivo è cattivissimo, supermegaipergigamalvagio. Atipico!

    Non si capisce niente perché ognuno la racconta come je pare...
    -Comaresco!

    Dialoghi d'altri tempi e espressioni nitide.
    -Lvi è qui!

    Mareval94

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