Le sale giochi in Giappone



Quando ero piccolo, non avevo nessun amico. Ero il classico timidone che veniva messo in un angolo. Quando si andava al luna park, eravamo sempre e solo io e mio padre. Appena entrati, mi dirigevo nell'unico posto in cui sapevo mi sarei divertito: la sala giochi. Potevo prendere una pistola e uccidere zombie in "The House of the Dead" oppure mettere mano su levetta e pulsanti per picchiare come un fabbro in "Virtua Fighter 2", qualunque cosa facessi mi divertivo un mondo.
Proprio per scacciare questo, diciamo così, senso di solitudine, andavo periodicamente in una sala giochi un pochino lontana da casa. Nonostante giocassi da solo, uscivo sempre con un sorrisone in faccia.

Poi per fortuna, mi sono fatto degli amici e non mi sento più solo. Tuttavia, i videogiochi sono ancora un'ottima valvola di sfogo o un modo per combattere la noia, insieme a film e serie tv.

Torniamo però alle sale giochi. 
Purtroppo col passare del tempo, in Italia sono cominciate a diminuire. Prima si sono accorpate alle slot machine, poi hanno lasciato completamente il posto a esse. Ormai le sale giochi vere e proprie sembrano non esserci più, tranne qualche ibrido arcade-bowling-slot machine, presenti esclusivamente nei cinema grossi.

Il motivo per questo inesorabile declino sta sicuramente nell'avvento delle console, una più figa e tecnologica dell'altra. Perché uscire di casa quando puoi avere i tuoi videogiochi preferiti nella tua cameretta o, meglio ancora, a portata di tasca?
Impossibile combattere la pesaculite. 
Un altro è probabilmente la perdita della magia delle sale giochi. Queste interessanti strutture andavano tantissimo di moda negli anni '80 e '90 e facevano parte in maniera aggressiva della cultura popolare. Poi chissà perché, fine della figata.
Un vero peccato. 
Ogni tanto avrei fatto tuttora un salto a smaneggiare con i picchiaduro o con gli sparatutto.
Per fortuna le console nuove hanno reso scaricabili (anche se a pagamento) un sacco di perle retrò, ma volete mettere con la sensazione di giocare con pochi crediti e con una difficoltà non regolabile?

Poi, per studiare, sono andato per tre mesi in Giappone, a Kyoto. 
Proprio davanti alla fermata del treno da cui scendevo per andare nella mia scuola c'è King, un edificio che contiene una sala di pachinko (particolari slot machine con cui la gente ama giocare d'azzardo) su un intero piano, mentre su un altro ci sono un sacco di cabinati arcade.

La prima volta che ci ho messo piede è stato come se fossi entrato in un'altra dimensione. Nonostante fossi abituato, da piccolo, ai cabinati, non mi era mai capitato di vedere una sala giochi così assordante, colorata e dai generi più disparati di giochi. Sono tornato di nuovo bambino.
Da allora, ogni occasione è stata perfetta per tornare al King o in qualunque altra sala giochi a portata di piede: un momento di pausa durante camminate turistiche, la necessità di sfogare la stanchezza causata dalle lezioni TOTALMENTE in giapponese, il bisogno di usare il WiFi (in Giappone quasi ogni posto ben frequentato ha il WiFi, anche i konbini, i piccoli supermercati aperti 24 ore su 24). Insomma, fino al giorno del triste ritorno a Roma, ho cercato di godermi il più possibile i giochi insieme ai miei amici. Grazie a uno di loro ho anche provato della roba che in Italia non è mai stata esportata. 

In pratica, in Giappone, la cultura della sala giochi è sempre più viva che mai. Le persone possono godersi sia giochi nuovissimi che alcuni datati ma ancora dotati di gran fascino. Inoltre l'esperienza di gioco non ha età: puoi incontrare bambini, liceali, universitari e gente di mezza età. Una grande famiglia.

Grazie alle sale giochi, ho potuto recuperare dei giochi a cui non posso mettere mano, in quanto non sono provvisto delle console next generation come la PS4: sono riuscito a conoscere la tanto temuta madre di Kazuya Mishima, Kazumi, e ad affrontare l'ospite d'onore Akuma/Gouki su "Tekken 7"; ho rivalutato il divertente "The King of Fighters XIV"; ho provato picchiaduro completamente nuovi come "Under Night In-Birth" e recuperato titoli mai arrivati in Italia come "The King of Fighters 2002 Unlimited Match". Che dire poi, dell'ultimo "Dissidia"? Ho potuto giocare nei panni di Rinoa prima delle persone situate fuori dal Giappone ed è stato una figata. I comandi sono molto diversi, rispetto si pulsanti della Play: nel cabinato ci sono solo due levette, sembrava di stare a guidare un aereo. 
Ovviamente non ho disdegnato vecchie ma gloriose perle come "Street Fighter 3" e "Virtua Fighter 3".

Tranquilli, non ho giocato solo ai picchiaduro. 

Ho provato ancora una volta l'adrenalina nel toccare le pistole giocattolo e mi sono ritrovato ad affrontare le missioni folli di "Point Blank", disperandomi ai soliti fallimenti per soli 2-3 punti. Avrò superato i 20 anni, ma me la faccio ancora sotto, quando appare l'avviso delle missioni INSANE perché lo so benissimo che non riuscirò a superarle.
Ho finalmente provato di persona "Time Crisis 5" e ho penato come un dannato con i due pedali direzionali, essendo stato abituato al comodissimo pedale unico. Però ora finalmente so come finisce la saga...non perché l'ho finita io, ma perché ho ammirato un giocatore esperto che ha completato il gioco. Io mi sono fermato al terzo livello.
Per fortuna, nessuno ha guardato me giocare. Ero più bravo da piccolo.
La mia infanzia è riemersa prepotentemente nell'arcade del centro commerciale di Nijo, quando ho ripreso mano a "The House of the Dead 4". Per fortuna, lì ero meno arrugginito che a "Time Crisis", quindi ho potuto fare il figo con i miei amici. La vescica che mi è venuta in mezzo alle dita per aver stretto troppo forte il mitra non è stata altrettanto figa. 
Poi ho provato un gioco sparatutto molto horror dentro una cabina e ho dato prova di essere, sotto sotto, un gran fifone. Ho detestato così tanto il gioco che non ho voluto memorizzare il suo nome. 

Che dire poi dei tantissimi giochi con l'uncino, in cui riuscire ad acchiappare una statuetta o un'altra sciccheria nerd equivale ad essere un master?
Io non mi dimenticherò mai il mio imbarazzante fallimento nel vincere una maglietta di "Steins'Gate", soprattutto perché hanno levato il gioco poche settimane dopo.

La vera sorpresa, però, sono stati i giochi musicali. Mi sono divertito più con le loro postazioni che con i picchiaduro.
La regola chiave per fare il punteggio alto è ovvia: ignorare ogni singolo rumore che non sia la musica su cui stai giocando. Altrimenti farete la mia fine mentre giocavo alla versione arcade di "Hatsune Miku Project Diva", in cui cercavo di capire il ritmo della traccia musicale a sentimento.
Il mio amore per le musiche di Final Fantasy (One Winged Angel è arte pura)si è fortificato in modo esponenziale grazie al cabinato di "Theatrhythm". Gli unici pulsanti erano una grossa levetta analogica e un pulsante altrettanto grande. Mi sono sentito uno pseudo dj.

È proprio in questo ambiente che ho potuto mettere mano a due giochi che non avevo mai visto in vita mia. 

Il primo è "Taiko Tatsujin", in cui ci si può divertire a suonare musiche di vario genere, come le sigle degli anime, andando a ritmo del taiko, il tamburo giapponese.



È in questo gioco che è nato il vero amore con "Zankoku na Tenshi no Thesis".
Dopo tre partite di fila, ho capito il motivo per cui i suonatori di taiko hanno tutti delle braccia muscolose: suonarlo equivale a fare due ore di pesi!

Poi c'è lui. Il fenomeno.
Dovrebbe chiamarsi "Jubeat" e consiste nel premere dei tasti con le mani per andare a ritmo di musica. I brani sono tanti e appartengono ad anime, videogiochi o hit J-Pop.
Ammetto di essermi rivelato un giocatore notevole, anche se poi a livello difficile impazzivo e non riuscivo a vedere più le note. 
Chi diavolo riuscirebbe a superare il livello ai livelli massimi?
Ovvio. 
I giapponesi.
Alcuni sono allucinanti. Muovono le mani a velocità supersonica e riescono a toccare anche le note più ostiche. Sono così fulminei che non avrebbero problemi a effettuare l'Esplosione del cuore con cinque colpi delle dita di Beatrix "La Sposa" Kiddo. Se poi riuscissero a imparare il Sacro colpo dei 100 pugni devastanti di Hokuto di Kenshiro, sarebbe la fine.

Insomma, i giapponesi hanno il videogame nel sangue, sennò certi talenti non me li saprei spiegare. 
Sarebbe interessante approfondire il legame tra giapponesi e videogiochi, soprattutto dal punto di vista sociale e psicologico.

Vedere con i miei occhi come sia ancora viva e energica la cultura degli arcade è stata un'esperienza molto interessante e devo dire di essere tornato più volte bambino.
Se sono rimasto sorpreso da Kyoto, sarei curioso di andare a vedere le sale giochi a Tokyo. La figaggine e la follia sarebbero il triplo, a confronto con la storica capitale. 

RedNerd Andrea 

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